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A "rare" girl saved

a little girl recovers from dealdly rare disease

Una guarigione “rara”

bambina guarita da una malattia rarissima

Diana viene trasferita al Bambino Gesù a due settimane dalla nascita. Le sue condizioni appaiono da subito gravi e la malattia inspiegabile: la pelle piena di macchie, febbre alta continua, gravi carenze di cellule nel sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine). Seguita dai medici di onco-ematologia e reumatologia, la bambina passa i primi sette mesi di vita in isolamento in Ospedale, nel tentativo di identificare la sua malattia o almeno tenerla sotto controllo. Il primo successo arriva con un farmaco biologico (anakinra), che riesce finalmente a contenere gli eccessi infiammatori provocati dalla patologia ancora sconosciuta. La bambina migliora e per la prima volta può tornare a casa. 

Dopo pochi mesi, purtroppo, la situazione peggiora improvvisamente. Diana presenta sintomi nuovi tra cui nuove riaccensioni auto-infiammatorie, emorragie intestinali e crisi convulsive. I medici sono costretti a cambiare terapia, ma la storia prosegue all’insegna della preoccupazione e dell’incertezza, tra ricadute e ricoveri continui. Non è però tempo perso: la bambina nel frattempo viene inserita nel programma di ricerca dedicato alle malattie rare e senza diagnosi basato sull’uso delle nuove tecnologie genomiche, finanziato dalla campagna Vite Coraggiose della Fondazione Bambino Gesù onlus. 

Grazie alle piattaforme di sequenziamento di ultima generazione, i ricercatori arrivano a identificare una mutazione potenzialmente implicata nella malattia, su un gene chiamato CDC42. Un gene di cui erano state precedentemente individuate dagli stessi ricercatori dell’Ospedale altre mutazioni associate a diverse malattie del neurosviluppo. Inizia così la ricerca incrociata sui database mondiali di malattie rare. È il 2016 quando si scopre un altro paziente con lo stesso quadro clinico e la stessa mutazione negli Stati Uniti, purtroppo già deceduto. Poco dopo vengono scoperti altri due pazienti con la stessa mutazione: uno al Karolinska Institutet di Stoccolma e uno ancora al Bambino Gesù. Compreso quello di Diana, sono 4 i casi al mondo noti in questo momento .

L’identificazione di più pazienti con questa mutazione e con quadri clinici sovrapponibili e la dimostrazione dello specifico impatto funzionale della variante arriva dopo due anni di ricerche, mentre Diana continua la sua lotta per la vita. Gli studi permettono di confermare che la mutazione del gene CDC42 è effettivamente la causa della sua malattia, e la malattia può finalmente avere un nome: sindrome NOCARH (Neonatal-Onset Cytopenia with dyshematopoiesis, Autoinflammation, Rash and Hemophagocytosis). 

Ora è possibile concentrarsi sulla ricerca di una terapia: differentemente dalle altre malattie causate da mutazioni in CDC42, la condizione di Diana è essenzialmente limitata alle cellule del sangue. Sulla base di questa considerazione e dei dati prodotti dalla ricerca, si ritiene che il trapianto di midollo, quindi la sostituzione delle sole cellule del sangue, possa sconfiggere la malattia. 

I clinici decidono di usare, in via compassionevole, un altro farmaco sperimentale, l’emapalumab, usato fino ad allora solo su 15 bambini prima di Diana (nessuno dei quali con la sua malattia). Si tratta di un anticorpo monoclonale che serve a controllare l’esasperata risposta infiammatoria nei pazienti con HLH (Linfoistiocitosi Emofagocitica primaria). 

È possibile finalmente procedere con la fase finale della terapia: il trapianto di midollo. Diana non ha però un donatore compatibile e si deve quindi ricorrere a uno dei due genitori (trapianto aploidentico), in questo caso il papà: si tratta di una procedura complessa basata sulla manipolazione delle cellule staminali emopoietiche prelevate dal donatore, per privarle selettivamente di tutti gli elementi che potrebbero aggredire l’organismo del ricevente. 

Un intervento unico al mondo per una bambina unica. Il trapianto è stato un successo e oggi Diana è guarita, non presenta più segni della malattia. Una malattia di cui non si sapeva il nome e di cui la bambina conserverà, forse, soltanto il ricordo. 

    Brainsinitaly Reference completa:
    J Exp Med. 2019 Dec 2;216(12):2778-2799
    A novel disorder involving dyshematopoiesis, inflammation, and HLH due to aberrant CDC42 function.
    Lam MT#1,2,3, Coppola S#4, Krumbach OHF#5, Prencipe G#6, Insalaco A#6, Cifaldi C7,8, Brigida I9, Zara E4, Scala S9, Di Cesare S7,8, Martinelli S10, Di Rocco M10,11, Pascarella A6, Niceta M12, Pantaleoni F12, Ciolfi A12, Netter P1, Carisey AF1,2, Diehl M13, Akbarzadeh M5, Conti F7, Merli P14, Pastore A12, Levi Mortera S12, Camerini S15, Farina L4,6, Buchholzer M5, Pannone L10,12, Cao TN1, Coban-Akdemir ZH16,17, Jhangiani SN17,18, Muzny DM17,18, Gibbs RA16,17,18, Basso-Ricci L9, Chiriaco M7, Dvorsky R5, Putignani L12, Carsetti R6, Janning P19, Stray-Pedersen A16,20,21, Erichsen HC22, Horne A23,24, Bryceson YT25,26, Torralba-Raga L25, Ramme K27, Rosti V28, Bracaglia C6, Messia V6, Palma P7, Finocchi A7,8, Locatelli F14,29, Chinn IK1,30, Lupski JR1,16,17,18, Mace EM2, Cancrini C7,8, Aiuti A9,31,32, Ahmadian MR#33, Orange JS#34,3, De Benedetti F#35, Tartaglia M#36.


    Autore del post: Barbara Bernardini

    Istituto di appartenenza: Brainsinitaly

    Ruolo: Press Office

    Doi originale: 10.1084/jem.20190147

    Link diretto alla fonte: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31601675